lunedì 18 ottobre 2010

Racconto semiserio del concerto di Giovanni Allevi

Scrivo questo pezzo col cuore perche' Giovanni Allevi ha toccato le corde emotive del mio animo, oltre a quelle del suo pianoforte, durante il concerto tenutosi ieri sera a "El Rey" di Los Angeles.
Non voglio fare la romanticona, non mi si addice, per cui riabbasso immediatamente il tono del post ;-P
Andare a sentire un artista italiano a L.A e' favoloso poiche', siccome qui e' praticamente sconosciuto, ti puoi accapparrare posti che in Italia te li sogneresti.
Inoltre, per la prima volta in vita mia, conosco il famoso "tale che conosce un tale" (http://www.facebook.com/?ref=home#!/group.php?gid=200790063184) che mi mette in lista (mai stata in una lista, se non conto la lista d'attesa all'areoporto o la lista nera di qualcuno) e mi trova due sorprendenti posti VIP in seconda fila.
Ed eccomi li', sorseggiando San Pellegrino come fosse champagne, ad aspettare l'ingresso del Maestro sul palco.
Non l'avevo mai visto suonare dal vivo e cio' che cattura immediatamente la mia attenzione e' il modo con cui Allevi compare on stage: non cammina impettito a grandi passi trionfali verso il pianoforte, come avrei immaginato, bensi' si staglia nella penombra delle quinte e sgattaiola verso la sua posizione, quasi cercando di evitare la luce del riflettore. Il suo sguardo e' umilmente basso e le sue movenze sono, oserei dire, goffe.
Non appena si siede al pianoforte questa timidezza ed il suo "dolcissimo essere impacciato" si dissolvono nelle note di "Secret Love": le mani scorrono veloci ed esperte sui tasti del pianoforte per donarci una sinfonia che sembra essergli dettata direttamente dal cuore o da una sorta di istinto primordiale. Non uno spartito, niente di niente. Soltanto lui ed il pianoforte.
Si susseguono in un crescendo di emozioni "Tokyo Station", "Close to me" e "Memory": sono letteralmente in singhiozzi quando sento le prime note de "L'orologio degli dei", la mia preferita. E cosi', anziche' avere ai piedi 12 cm di stiletto, mi ritrovo una montagna di Kleenex usati... immagine non propriamente sexy della blogger, vero?!
 



Attenzione, non voglio certo atteggiarmi a grande intenditrice di musica: riconosco la mia totale ignoranza in materia ma affermo con certezza che, non so il motivo, ma la musica di Allevi mi commuove, mi scuote dal profondo e, se chiudo gli occhi mentre la ascolto, diventa la perfetta colonna sonora del film della mia vita. Ripesco nostalgici e sbiaditi ricordi dal passato e penso a persone che amo. Dissolvenza, vado a nero, applauso.   
Forse la sua musica piace a tutti proprio perche' e' tremendamente melodica ed orecchiabile, non e' difficile da apprezzare o per soli intenditori. 
Per quanto mi riguarda, il Maestro e' semplicemente capace di strappare una lacrima anche alla sottoscritta, la piu' scettica delle donne.
Tra un brano e l'altro Allevi si alza verso il pubblico: nascosto dietro una tonnellata di ricci indomabili, gli occhi socchiusi e celati da una spessa coltre di occhiali fa un timidissimo inchino, si porta la mano al cuore e mormora un impercettibile "thank you". Come direbbe la mia amica Giuls, "e' il ritratto del secchione impacciato che ogni donna vorrebbe spolpare" ;-P
Durante il momento dei ringraziamenti finali si aggiudica definitivamente il mio amore eterno e la mia venerazione: Allevi estrae di tasca un foglio tutto stropicciato e, con un filo di voce, inizia ad elencare in un irresistibile inglese un tantino strampalato collaboratori e persone che hanno reso possibile l'evento. 
Infine introduce l'ultimo brano del concerto, "Piano Karate": spiega che questo pezzo e' come una lotta tra se stesso ed il pianoforte, dove comunque non importa chi vince perche' e' la musica che ha sempre la meglio.
 

Al termine dell'esecuzione scrosciano, inarrestabili, gli applausi: la gente non e' ancora sazia delle sue vibranti note e la richiesta di un bis si evolve quasi naturalmente in un tris.
Quando si riaccendono le luci, un pubblico attonito che credo abbia provato le mie stesse forti impagabili emozioni, si abbandona ad una meritatissima standing ovation.
 
PS. Non sarebbe un racconto Casiraghiano se l'evento non si fosse concluso con una Ca(sira)gata delle mie. Il tale che conosce un tale mi fa: "Dopo il concerto c'e' il party al The Standard, ci sara' anche Allevi... vieni?"
Certo: concerto memorabile e animo ancora in fibrillazione, per la prima volta posso entrare senza fare due miglia di coda al locale piu' cool di L.A (quello sul tetto di un grattacielo), sono abbastanza presentabile ed avro' la possibilita' di stringere la mano ad Allevi. Tutto perfetto. Ed io non vado a sbagliare locale?! Sembra la pubblicita' di un famoso digestivo ed invece... chi lo sapeva che a Los Angeles ci sono due locali identici - e' una catena - con lo stesso nome e le medesime caratteristiche, uno in Downtown e l'altro a Hollywood?!
Io no, ovviamente. Perche' sono una maledetta pantofolaia.
Grazie di cuore al tale che conosce un tale che mi ha regalato questa meravigliosa serata.

mercoledì 22 settembre 2010

La Schwarz-Patente

Sul "California Driver Handbook" troneggia sorridente Arnold Schwarzenegger. Non riesco a trattenere un risolino ogni volta che penso che il mio Governatore e' Terminator, dico io. Consolati, non possiamo trattenere le lacrime al pensiero che il nostro Presidente del Consiglio sia un pagliaccio, mi direte voi. Ops. Sul mio blog non si fa politica, per cui ritiro immediatamente la mano, dopo aver gettato il sasso. Atteniamoci ai fatti. Oggi ho sostenuto l'esame di guida per ottenere la patente californiana: dovevo presentarmi alle 9.40 a North L.A con il mio veicolo ed un accompagnatore patentato. Il primo paradosso di questa avventura e' che mi sono recata sul luogo dell'esame guidando perche' il mio accompagnatore patentato, la mia fedele amica, infermiera, compagna di avventure e dissaventure Marina, detesta visceralmente guidare. Mi avevano avvisato che alla DMV, praticamente l'Ufficio di Motorizzazione americano, lavorano le persone piu' frustrate e scorbutiche di tutta Los Angeles (e' un luogo famigerato come i nostri Uffici Postali) per cui ero perfettamente pronta alle barbare maniere con cui sono stata invitata ad incolonnarmi in fila, in attesa del mio esaminatore. La preparazione all'esame e' avvenuta in quei 50 minuti di coda e ripeto che la mia istruttrice, Marina per l'appunto, guida a malapena la bicicletta ;-P In quel lasso di tempo ho ripensato a papa' che ancora mi maledice per la cifra astronomica che dovette pagare per le mie lezioni di guida 12 anni or sono: " ... un milion e mezz (c'era ancora la rimpianta Lira) e te se' mia buna de tira' fora la machina dal boss (= Box, mio papa' non sa pronunciare la lettera "X" per cui "Max" diventa "Mass", "Rex" diventa "Ress" e, ovviamente, "Taxi" diventa "Tassi")", mi rinfaccia imprecando mentre mi destreggio in improbabili manovre. Sostenere un test di guida dopo 12 anni di patente e' ancora piu' difficile perche' ormai si hanno metabolizzati errori e vizi che non si dovrebbe commettere il giorno dell'esame. Ad esempio, qui bisogna fermarsi 3 secondi (contandoli, letteralmente) ad ogni STOP, altrimenti si viene bocciati. Quando si cambia corsia e' obbligatorio "guardare sopra la propria spalla" (si vede che ho studiato per la teoria, vero?!): praticamente slogarsi il collo prima di procedere nella manovra. Insomma: piccole attenzioni che nessuno, nemmeno una che e' notoriamente un chido come me al volante, si ricorda di rispettare. Allora Marina mi ripete come un mantra: "... vai piano, tieni le mani sul volante, voltati piu' che puoi quando devi girare, non stirare i pedoni e, soprattuto, non fare la simpatica con l'esaminatrice perche' diventa ancora piu' acida..."
Poi mi insegna l'"hand signal" ( quello che devresti fare con il braccio fuori dal finestrino in caso non funzionino le frecce) nel modo sbagliato ma, per fortuna, ho l'accortezza di verificarlo sullo Schwarz-Manuale nell'attesa del mio turno.
Mai fidarsi di una catalana mora dagli occhioni da cerbiatta :) Finalmente tocca a me, sono pronta ai blocchi di partenza. Arriva la mia esaminatrice: messicana, bassa, incazzatissima e, probabilmente, mestruata. Mi ordina, severa: " Fai l'handsignal". Ed io, tra me e me : "Bella li', questa la so!". "Accendi la freccia destra, ora quella sinistra". Fatto, perfetto. Non nascondo un po' di agitazione infantile. Ma ecco che tutto accade in un battibaleno: non avevo ancora fatto in tempo ad avviare il motore che la Befana mi dice: "Le ruote davanti sono consumate, non puoi fare l'esame. Torna o con un altro veicolo o con delle ruote nuove". Non credendo alle mie orecchie, rispondo, titubante: "Sorry?!". E lei, fredda come il ghiaccio, mi ripete la stessa frase, parola per parola. Questa volta conclude con un'inequivocabile occhiataccia che significa "andale, andale!". E fu cosi' che fui bocciata all'esame di guida senza nemmeno aver messo in moto la macchina. Telefono a Marina, praticamente 3 minuti dopo l'inizio del mio esame e lei, conoscendomi, risponde: " Cosa e' successo stavolta?" "Niente, mi sono infilata il cambio nell'occhio". (vedi post "The banana killer"). Non mi resta che andare dal meccanico, fissare un altro appuntamento e salutarvi come farebbe il mio Governator: Hasta la vista, amici.

Questo post e' dedicato ad Ale, al quale ne combino una al giorno, e all'Autoscuola Buratti che spero mi abbia dedicato almeno una targhetta in ottone prima di trasferirsi alle Hawaii con i soldi di papa' Casiraghi ;-P E naturalmente a Tigro AKA Marina.

martedì 14 settembre 2010

Le interviste mai viste della Fra: Colin Farrel

PREMESSA
Quando scoprii che ero dotata di un vero e proprio talento naturale nella “ars dicendi” del raccontar balle (sono una donna, parto avvantaggiata), decisi di farne un mestiere.
Ecco come nascono “Le interviste mai viste della Fra”, una serie di fandonie inventate di sana pianta, al solo fine di farvi divertire.
Bugia.
Con il solo scopo di farmi divertire.
Perchè la mia salvezza è, è sempre stata, e sempre sarà, scrivere.
Beh, accattateville... SIGLA!



Quando "Vanity Fair Italia" mi ha assegnato l’incarico di intervistare Colin Farrell, non potevo credere alle mie orecchie: io, Francesca Casiraghi de Maress, mi sarei trovata al cospetto di uno degli dei dell’Olimpo hollywoodiano. Roba da restarci secchi.
L’appuntamento è per pranzo in Sunset Plaza, naturalmente al CaffeMed. Dopo aver messo a soqquadro tutto il mio guardaroba (Donne, voi potete capirmi: cosa diavolo si indossa per un appuntamento con Colin Farrell?!) ho optato una camicia azzurra, jeans e Converse. Cominciavo a credere che non si sarebbe mai presentato da CaffeMed quando, due ore dopo l'orario prestabilito, il posto di fronte al mio era ancora tristemente vuoto.
Ore 15: ecco che finalmente il Signorino fa il suo ingresso trionfale, seguito da almeno dieci "paparazzi"e viene a posare il suo popo' da TOTmila dollari a film al mio tavolo: decisamente un momento memorabile, più mondiale di quella volta in cui Michael Jackson venne a casa mia per usare il bagno* (ma questa è un'altra storia...).
Colin Farrell, in tutto il suo splendore, mi rivolge il più malizioso dei sorrisi e mi dice: "I'm sorry".
Tesoro, con quegli occhioni da Bambi spaurito che ti ritrovi ti perdonerei qualunque cosa.
Dunque Colin, cominciamo. Mentre lui inizia a divorare un piatto di maccheroni con una foga non proprio princ
ipesca, io attacco con la prima domanda.
"Raccontami tutto di te", dico cercando di conferire alla mia voce il tibro più sensuale possibile.
"Tutto tutto?" fa lui, togliendosi un residuo di cibo dai denti con l'unghia del mignolo.
"Tutto tutto", confermo io mentre lo osservo inorridita fare la scarpetta con il sugo.
Colin: "Tutto tutto, va bene... ti racconto tutto. Quando ero in terza ho copiato all'esame di storia.Quando ero in quarta ho rubato il parrucchino di mio zio Max e me lo sono messo sul mento per fare Mosè alla recita della scuola. Quando ero in quinta ho buttato per le scale mia sorella Heidi e poi ho dato la colpa al cane... Allora mia madre mi mandò a un campeggio estivo per bambini grassi e poi una volta non ho resistito, ho mangiato due chili di panna e mi hanno cacciato.
Ma la cosa più cattiva é stata quando ho fatto una bottiglia che sembrava vero vomito. La sera sono andato al cinema e ho nascosto la bottiglia nella giacca, sono salito in galleria e poi... poi... ho cominciato a fare dei versi cosi: bwaa...... bwaaa... bwaaaarg. E ho versato quella roba sul pubblico che stava di sotto. Allora é successo un vero finimondo, tutti hanno cominciato a vomitare e si vomitavano addosso l'uno con l'altro. Non mi sono sentito mai tanto cattivo in tutta la vita".*
Mi fissa soddisfatto, come un ragazzino che ha recitato per bene la lezione e, con disinvoltura, emette un rumoroso rutto. "I'm sorry", mi dice.
Ma va’ a cagare Colin Farrell e ridammi le 7 euro e 50 di “Chiedi alla polvere”, che è proprio un gran film di merda.

PS. D'accordo, Michael Jackson non è mai venuto a casa mia per fare la cacca....ma sua sorella sì!*

* cit. "The Goonies"


mercoledì 1 settembre 2010

domenica 21 marzo 2010